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Filosofia del Diritto



Il grande ruolo di Kelse è quello della sistemazione per farci comprendere la logica del grande stato moderno. Lui chiama la sua teoria pura in quanto scientifica e per essere scienza bisogna individuare e distinguere il diritto dalle altre attività pratiche in quanto techina di organizzazionione sociale. Il diritto si distingue dalla politica e dalla morale, dalla religione, etc. Quando la norma è giuridica? lE NORME GIURIDICHE NON SONO MAI ISOLATE, SONO TENUTE ASSIEME SEMPRE DA UN COLLANTE che è l'ordinamento giuridico. Per Kelsen vi è una netta separazione tra essere e valore: essere e dover essere. L'essrere ed il dover essere sono profondamente collegati. Kelsen dice che il diritto è una valutazione, un dover essere che tende a condizionare il comportamento umano. Il diritto è norma e la norma è dover essere quindi la scienza della norma è scienza del dover essere. La legge di Hume mette in luce che tra fatto e valutazione non vi è un collegamento immediato e necessario. Il giusnaturalismo che presume di derivare tutto da i comportamenti commette un errore logico. Non bisogna desumere la norma dai fatti ed immutabili ed eterne e che esistano dalla volontà umana: questo è un errore. Legittimità ed illegittimità è solo una scelta umnana, e un espressioneeeeeprova evidente c'è tra la connessione tra essere e dover essere. Le leggi naturali sono collegate da un nesso di causalità. Kelsen lo chiama nesso di imputazione (causalità). Il collegamento immediato e necessario che tiene assieme tutti i fatti, tutti gli eventi è il comportamento umano. Il furto legittima qualcun'altro alla punizione di chi compie il furto: non c'è l'autopunizione. Il nesso d'imputazione consiste nell'operato del legislatore d'imputazione. Il male è tale in quanto imposto dalla volontà di qualche d'uno: sono gli uomini a valutare il fatto in un certo modo, tra l'essere e la valutazione c'è una relazione necessaria. Le norme sono giudizi ipotetici e meccanismi autorizzativi. Il comportamento tenuto è fuori dalla norma giuridica secondo Kelsen. Il comportamento reale è esterno alla norma dunque i fatti stanno nel "se", è il "se" che da la norma e che è il meccanismo autorizzativo. Per Kelsen la sua scienza è pura e non contaminata dai fatti. A Kelsen interessa la forma della norma; il sillogismo è un'espressione ipotetica. Il risultato dell'interpretazione è raggiunto deduttivamente secondo il sillogismo. Secondo Kelsen esiste differenza tra il sillogismo teoretico ( che si fonda su un atto di pensiero), ed il sillogidmo normativo ( che si fonda su un atto di volontà). Il rapporto tra essere e dover essere è frutto di un atto di volontà, ed il sillogismo logico risponde alla domanda vero/falso, è controllabile ed è il problema del giudice "bocca della legge". Accanto al sillogismo logico ce n'è un altro che è il paralogismo. I sillogismi giuridici si basano su un atto di volontà. Alla base del diritto non c'è un atto di conoscenza, ma un atto di volontà e questo spiega la teoria di Kelse: per capire la connessione tra le norme bisogna comprendere la nomostatica e nomodinamica. La nomostatica risponde all'affermazione che il male esiste in sè e si costruisce un sillogismo per rispondervi; ognuno di questi passaggi è controllabile. Il diritto naturale si basa su una norma di questo genere come una connessione logica di enunciati. questa teoria Kelsen dice se i sillogismi naturali siano tutti logoci. La matematica è un sillogismo logico. Il diritto secondo Kelsen non si può conosiderare un sillogismo logico. La legge è voluta da atti di volontà legittimati dalla costituzione. Il problema sta nell'interrogativo dell'ubbidienza alle leggi. Nella esperienza giuridica ci si pone la domanda: perché ubbidire allo stato ed alla costituzione? Le connessioni sono ideologiche e dipendono da un atto di volontà. Il diritto riguarda ciò che si compie, come ci si comporta. Nella piramide Kelseniana la nostra posizione è quella dell'autonomia privata nella piramide kelseniana. La costituzione autorizza il legislatore. Per Kelsen la nomodinamica è la connessione dinamica tra le norme in contrapposizione alla nomostatica ed è una costruzione a gradi (Stufenbau); in questa costruzione ci sta in basso il privato con tutta la disciplina di regolamentazione ed autonomia privata, ci sta l'amministrazione, e l'attuazione della legge. L'attiività delle norme è affidata ad una pluralità di soggetti con i rispettivi atti di volontà. Non c'è alcuna differenza qualitativa o quantitativa. Il legislatore per essere tale è legittimato dalla volontà di tutti, il volere del legislatore diventa il volere di tutti. Anche la sentenza è un atto di volontà (di tutti) espressa dal giudice, anche così la contravvenzione, etc. Per la nomostatica tutte le norme, tutti i contratti, tutte le sentenza, tutte le sanzioni, tutte le pene, sono volute da tutti. Si deve ubbidire al legislatore perché lo vuole la costituzione, e si deve ubbidire alla costituzione in quanto contratto sociale. Le norme sono carte bianche autorizzative, e finchè non si dichiara la invalidità l'atto è valido, ma seconodo la nomostatica non funzionerebbe così. Di fronte al problema della giuridicità Kelsen risponde con la nomostatica. Kelsen dice dice di poter dare tre giudizi. Si dice che una norma è giuridica quando è conforme ad un fatto. La norma viene paragonata ad un valore se ci si domand sul concetto di giustizia, il quale criterio secondo Kelsen è morale ed etico ma non giuridico. La giustizia non è un concetto giuridico (seconod Kelsen). La validità va messa tra la norma fondamentale e la costituzione; la cost convalida la legge che a sua volta convalida la autonomia privata, l'amministrazione e l'attuazione della legge. Kelsen studia il diritto dal basso e quindi si legge la piramide al contrario. La legge è la previsione del comportamento dei giudici e il bad man è colui che vuole sapere la reazione dei giudici all'azione. La sentenza convalida la legge; la legge convalida la Cost.; la Cost. convalida la norma fondamentale. La norma fondamentale è il fatto che qualcuno abbia preso il potere in qualche momento ed è una norma presupposta in quanto si presuppone il potere di chi è al potere, non vi sono dimostrazioni, tutto è presupposto. La norma fondamentle di ogni stato è quella di ubbidire.
"Io sono il Signore Dio tuo" è la norma fondamentale che precede le norme. Si ubbidisce a Dio perché Lo si conosce, e quindi alla base di tutto ci sta la base di conoscenza. L'ultmio Kelsen si chiede se sia legittimo ubbidire a Dio; si ubbidisce a Dio perchè lo si vuole, altrimenti si dovrebbe andare a ricercare l'autorizzazione di Dio.

Sistemi giuridici

Il diritto moderno secondo Kelsen mantiene la stessa logica e la stessa struttura, possono aumentare o diminuire i gradini ma la logica gradualistica non è superabile. La costruzione gradualista è strettamente legata con la gerarchia e con la nomo dinamica. Importante è che il soggetto si autorizzato ad emanare tali atti, ma ogni ufficio è una delega in bianco da parte del gradino superiore. Il giudice è libero di fare quello che vuole in quanto se una sentenza è giusta se passa in giudicato ed una legge è costituzionale se non viene giudicata al contrario. Non c’è nessuna differenza tra sistemi. Le norme sono cornici vuote dentro le quali si può porre la qualunque. Kelsen non scrive nulla sua teoria della interpretazione poiché secondo Kelsen l’interpretazione è un’attività puramente creativa. La legge è applicazione e creazione così come ogni altro gradino, la legittimità non sta nel contenuto ma nell’autorizzazione. Per Kelsen le singole norme sono valide in ogni caso fino prova contraria, poiché c’è una norma convalidatrice. E’ necessario che l’ordinamento sia effettivo, applicato da tutti, quindi il comportamento delle persone è rilevante. Kelsen per valutare l’effettività dell’ordinamento giuridico bisogna valutare l’effettività della norma fondamentale o secondo un'altra teoria bisogna guardare i diritti più bassi: le sentenze, i regolamenti, etc. il manuale di diritto è un momento esterno, invece un contratto è un momento interno.
Il ladro riconosce validità all’ordinamento giuridico in quanto vuole divenire proprietario. L’effettività del sistema è riconoscimento dell’ordinamento giuridico, quindi paradossalmente il ladro è momento interno. Interpretare una norma è un atto di volontà o creazione, ponendosi il dubbio della validità. L’interpretazione è un atto di volontà e non ci si domanda se sia vero o falsa. Il problema delle antinomie si risolve con un atto di volontà. E’ formale perché il contenuto è rilevante. Il giudice è bocca della legge nella misura in cui si può dire che c’è un unico enunciato ed un'unica interpretazione secondo Montesquieau; secondo Kelsen un enunciato produce infinite interpretazioni, e la nomo statica non ha senso in quanto una sentenza escluderebbe l’altra e niente sarebbe vincolante. La visione del giudice bocca della legge secondo Kelsen è una visione erronea in quanto la legge è atto di volontà. Ciascun gradino è applicazione e creazione. La norma di grado superiore non può escludere l’interpretazione: ogni gradino ha la sua interpretazione. Le norme vengono prodotte dal legislatore, ma secondo Kelsen anche dal giudice e da tutti noi. La norma fondamentale è innanzitutto presupposto secondo Kelsen da chiunque applica le norme in quanto si presuppone l’esistenza dell’ordinamento giuridico. La norma fondamentale è un’ipotesi logica dell’esistenza di un momento primo. Si pensa all’idea di Dio poiché pensiamo che ci sia stato un inizio, che ci sia un ordine e che nulla sia casuale. La norma autorizzante è una norma in bianco a creare norme. Hobbes crede che l’inizio del diritto sia il contratto sociale, ma secondo Kelsen è tutta una finzione. Il momento fondativo può essere anche una guerra civile. Secondo Kelsen c’è stato un atto politico: guerra rivoluzione, etc. Se l’ordinamento politico derivasse da un fatto sarebbe una violazione alla legge di Hume e sarebbe comunque contaminata dai fatti. La teoria pura non può nascere da atto impuro. Secondo Kelsen pensa che la sua sia una teoria democratica del diritto poiché afferma il primato ideale della norma: forza della regola e non regola della forza. Kelsen fa una scelta, quella di pensare il primato della legge.
Kelsen afferma che diritto e potere si chiamano reciprocamente e sono due facce della stessa medaglia in quanto il diritto è attribuzione di potere. La costruzione gradualistica ci fa capire che c’è un intimo rapporto tra diritto e potere. Lo stato per Kelsen è un insieme di norme: legge, autonomia privata, legge fondamentale, costituzione, etc. Kelsen è un teorico della teoria monista poiché ritiene che il diritto è statale in quanto al di fuori dello stato non c’è diritto. Per Kelsen è impossibile pensare lo stato senza pensare alle norme ecco che la teoria di Kelsen è la massima statalizzazione del diritto. Attraverso la teoria Kelseniana si spiega lo stato moderno ed il sistema. Il sovrano e soggetto è la norma, ed il controllo dello stato è affidato al custode della costituzione. Per Kelsen la sua teoria è democratica, in quanto diritto è morale sono profondamente diverse; tra le due non c’è nessun rapporto; sono tecniche di organizzazione sociale una indiretta e una diretta. Per Kelsen il diritto è amorale. Il concetto di moralità non riguarda il diritto il quale è uno strumento neutro che si riferisce a tutto. All’interno del sistema kelseniano potrebbe anche rientrare il sistema totalitario poiché svela il difetto della democrazia: l’autonegazione. Il rappresentante del popolo se cambia la forma di governo è la volontà del popolo. Costruendo il diritto come casella vuota si giustifica la dittatura ed il totalitarismo. Il Furer è l’essenza stessa del diritto, incarna l’esigenza del popolo ed è legittimato. La teoria kelseniana non ha capito nulla in quanto senza saperlo ha dato il potere ad hitler, la costituzione non può essere cieca. Il momento primo non deve poter essere modificato, invece Kelsen non ha visto la norma fondamentale. La teoria ebrea del diritto è liberale secono Schmitt. Secondo Schmitt il diritto è espressione di un popolo ben preciso. Il diritto è tale perché espressione tradotta in norma della volontà del popolo. Kelsen conosce le critiche di Schmitt ma mai si nominano direttamente. La democrazia è consenso il quale può mettere in discussione il governo. La democrazia presuppone una visione relativistica del mondo in quanto non esistono valori assoluti ma relativi a ciò che ottengono. L’uomo è variabile e mutevole e bisogna garantire l’amicizia per avere democrazia e quindi pace. L’aggressività non si scarica verso l’interno ma verso l’esterno mettendo in discussione se stessi e la democrazia debole non può permettere hitler. L’opposto dell’io debole è il furer.
La pace è possibile se si riesce a creare una norma fondamentale comune a tutte le nazioni (ONU). I conflitti tra stati vanno risolti attraverso norme e non attraverso guerre. Kelsen è il più grande teorico della Corte Costituzionale, a differenza di Schmitt in quanto questi pone acostudia della costituzione un politico, un capo di stato. Secondo Kelsen deve essere un giudice ad avere il primato.


Schmitt - Kelsen

Lo stato è per Kelsen un insieme di norme, in quanto non esiste diritto al di fuori dello stato: è un atto di volontà, di creazione umana. Le norme sono tenute assieme da atti di volontà: il legislatore può dare alla legge il contenuto voluto. Il contenuto per Kelsen è irrilevante dal punto di vista giuridico (si dal punto di vista politico). Giuridicamente si può solo prendere atto della legge e non altro (v. andata al potere di Hitler). Utilizzando tale logica si può arrivare al totalitarismo ma secondo Kelsen questa teoria ha un profondissimo valore democratico. Schmitt è considerato uno dei teorici del nazionalsocialismo soprattutto nel 1933. Schmitt è il teorico del decisionismo politico e giuridico; secondo Schmitt la legge è decisione e non si riempie una cornice vuota ma si compie una decisione ben definita. Secondo Schmitt la teoria kelseniana spoliticizza il diritto: la teoria del diritto è pura secondo Kelsen quando è priva della politica. Per Schmitt è una follia in quanto muove da una teoria centrale: per capire il diritto bisogna comprendere la politica configurandole come tecniche di organizzazione sociale. Kelsen dice che la società si organizza attorno ad una norma fondamentale (variabile e non definita). Schmitt, a differenza di Kelsen, definisce la norma fondamentale che è di natura politica. La domanda di Kelsen è “cosa è il diritto?”, invece quella di Schmitt è “cosa è la politica?”. Ogni settore ha la sua specificità attorno alle categorie su cui verte, secondo Schmitt le categorie della politica sono: amico-nemico. Si cerca il legame sociale in quanto c’è il nemico, colui che mette in discussione la proprietà, i beni, i familiari, etc. Il nemico è colui che sta nella mente di ognuno affinché si costruisca un’amicizia. Kelsen costruisce una teoria del diritto senza nemico, invece per Schmitt è necessario il nemico per avere il diritto. Hitler è andato al potere con i mezzi della democrazia ubbidendo alla norma fondamentale, ed a questo fenomeno Kelsen non ha saputo dare una spiegazione. Kelsen ha dovuto lasciare la Germania, e Schmitt teorico del nazionalsocialismo sosteneva l’idea che la politica è decisione. Sovrano è colui che decide nello stato di eccezione (l’eccezione è lo stato eccezionale come la guerra civile). Dopo il sovrano viene l’ordinamento giuridico; quindi il primato è dell’ordine politico, e solo dopo viene l’ordinamento giuridico. E’ necessario che la popolazione decida da che parte stare, quindi è necessario un Furer, un Duce, il quale porti fuori dalla crisi, quindi o il dittatore o la crisi. Compito della teoria del diritto è spiegare questa presa di posizione, l’ordine decisionale. Schmitt riprende da uno studioso spagnolo l’espressione: ”la borghesia è la classe che discute”. E secondo Schmitt la conversazione è negativa in quanto preclude la decisione, e nel frattempo il nemico vince. Secondo Schmitt dall’eccezione si trae la norma e non dalla normalità in quanto si prende una decisione. Il Furer prende quella decisione in sintonia del popolo per uscire dalla crisi, e se la decisione è giusta è la storia a dirlo. Schmitt è il teorico della dittatura, dicendo che la dittatura viene fuori che la repubblica non riesce a prendere decisioni, quindi la dittatura sta alla base della logica politica. Ciascuno di noi desidera la pace quindi dobbiamo osservare la Grundnorm internazionale. Tutta l’esistenza umana si radica tra il conflitto amico-nemico. Una società senza nemico non può esistere. Per Schmitt Hobbes è il più grande filosofo della politica: nemico è semplicemente lo straniero (xenofobia), in quanto non esiste un terzo imparziale a livello antropologico. Secondo Kelsen è possibile un terzo imparziale. La guerra ha un senso esistenziale ma non normativo, ed un unione di uomini che rifiuta il ius belli non sarebbe un’unione politica. Il conflitto è esistenzialmente radicato negli uomini. Anche noi abbiamo paura di noi stessi (Freud). La storia del mondo è una storia di guerre e di conflitti; la pace sono le pagine bianche dei libri di storia. La storia è storia di guerra. Il bolscevismo è creare uno stato senza nemico lottando con la borghesia. La lotta di classe ha portato al nazionalsocialismo. Il diritto è un aspetto della polita e non viceversa, e tutto ruota sulla presa di posizione fondamentale del marchio di caino. Sovrano è colui che decide nello stato di eccezione, chi è amico e chi è nemico. Accanto al concetto politica ci sta il concetto di dittatura (per Schmitt) in quanto derivante dal termine “dictare” cioè dettare, comando, affermazione precisa, ordine, ed in situazione d’emergenza è necessario essere guidati da uomini forti. Schmitt preferisce il governo degli uomini, e critica la democrazia parlamentare ma non critica la democrazia plebiscitaria: il dittatore è in sintonia col popolo, il dittatore fa ciò che l’uomo della strada farebbe. Schmitt dice che chi è il nemico è irrilevante, il nemico unisce; Hitler è andato al governo legalmente e legittimamente. Schmitt voleva la cosa non la persona, la dittatura (per tirare fuori dalla crisi) non Hitler. Con la salita al potere di Hitler Hegel è morto. Funzionari, movimento e popolo insieme (ma non fusi) agiscono per lo stato. In sintonia col popolo il dittatore manifesta la volontà della nazione. La Costituzione è la decisione politica fondamentale, e secondo Schmitt kelsen non ha nessun contenuto e nessun presupposto. La Costituzione statale è la porta per cui il momento astratto dello Stato entra nella vita e nella realtà (Hegel). Compito di Schmitt è svelare l’esigenza storica che è la dittatura, ed egli dice che Kelsen ed il parlamentarismo nascondono il conflitto. Schmitt dice che è impossibile la multiculturalità, e la difesa della razza è esigenza storica e sociale. Secondo Schmitt l’uomo come gli animali marca il territorio. Poichè il popolo non può discutere può solo acclamare, e l’opinione pubblica è acclamazione; l’acclamazione è il contrario della conversazione. La dittatura può essere costituita solo dalla massima democrazia, in quanto il popolo acclama la dittatura. Habermas critica profondamente il pensiero di Schmitt, dice tutto il contrario. Il popolo è il mezzo del potere, il fondamento e la base. Secondo Kelsen la legalità è conformità di una norma con una norma (quindi legittimità), invece secondo Schmitt la legittimità è conformità allo spirito del popolo (quindi non legalità). Il diritto pubblico del terzo reich è la formulazione giuridica del volere storico del Furer conformemente alla volontà del popolo. Il custode della Costituzione è la corte costituzionale secondo Kelsen (un giudice); Schmitt dicendo che il giudice non è un capo politico, e se fosse un giudice a giudicare allora il sovrano dovrebbe sottostare al giudice. Il custode della costituzione è il La Corte Costituzionale ed il P.R.; per Schmitt il P.R. deve essere politico. In Kelsen Dio è la norma fondamentale supposto; secondo Schmitt Dio è colui che divide il bene dal male ed è creatore assoluto. Per Kelsen è tutto norma, per Schmitt bisogna trovare la distinzione, la differenza, le diseguaglianze. Il pensiero liberale pone l’interesse solo ed esclusivamente nell’individuo, e guarda la politica con gli occhi dell’individuo (senza nemici). Ma la logica individuale non è una logica politica, quindi è un errore guardare lo stato con gli occhi dell’individuo. La presa di posizione di Schmitt è teorica e non politica. I diritti umani appartengono a noi in modo indisponibile ma per Schmitt si segna così la fine dell’unità politica. Per Schmitt (a differenza del liberalismo) si deve sacrificare il giusto per salvare lo stato, in quanto se muore lo stato muore anche l’individuo. Nullum crimen sine poena dice Schmitt. Kelsen ha ragione in quanto la modifica in Germania è avvenuta alla grundnorm, ma non alla legge ordinaria. Il giudice deve punire anche se non c’è la legge, se c’è il sentimento popolare. Se il sentimento popolare dice di punire, il giudice deve punire senza guardare alla legge. Il sentimento popolare viene rappresentato dal Furer. Ciascun individuo è colpevole quando il suo comportamento mette in discussione il bene collettivo.

Pace-Guerra = Amico-Nemico

La linea a di demarcazione e la crisi dello stato moderno sono analizzati da Schmitt e Kelsen. Per Kelsen la teoria del diritto è scienza, invece per Schmitt è un corretto modello epistemologico. Kelsen vuole epurare il diritto dalla politica, e la polemica di Schmitt si basa sul convincimento che il diritto e la politica vanno insieme. Per Schmitt il primato della politica consiste nella decisione nello stato d’eccezione. Per Schmitt tutto sta nella decisione: radicamento nel territorio, forte connotazione razziale (Schmitt viene processato a Norimberga ed assolto). Secondo Schmitt la pace è impossibile, la guerra è sempre pronta ad emergere. A Norimberga si partiva dall’idea di processare il nemico, e tale processo si basa sul convincimento che la guerra sia giusta. Se il conflitto amico-nemico è ineliminabile, è ineliminabile pure la guerra. I generali tedeschi che hanno condotto una guerra sono dei criminali? Hanno trasgredito le leggi di quale stato? La pretesa di compiere una guerra giusta determina un malinteso nella confusione tra politica ed diritto in quanto l’unica soluzione sarebbe la guerra totale, la guerra che non può conoscere limiti. Kelsen è il teorico del processo di Norimberga in quanto c’è il soggetto giudicante, ma il problema è che il giudice non è terzo, ma è il vincitore (accusatore e giudice). Il primato della pace presuppone il primato della guerra giusta (contro il male). La legge sui pentiti è politicamente giusta ma moralmente inaccettabile, ed il diritto è un sistema separato dalla politica secondo Kelsen. Secondo Schmitt Diritto, Politica e Stato sono tre aspetti di una medesima entità. Il difetto della teoria kelseniana per Schmitt è la scissione e la neutralizzazione della politica, ma per Kelsen è il contrario. Kelsen giustifica l’operato di Hitler in quanto all’interno della legge è possibile porre qualsiasi contenuto in quanto cornici vuote. Attraverso la criminalizzazione del nemico si giustifica la guerra totale. La teoria di Schmitt ha comportato le due ipotesi: la guerra è stata incitata dalle teorie di Schmitt; Schmitt ha solo influenzato i giovani. Schmitt si ritiene non responsabile di Hitler, dice che non può essere denazificato in quanto non può essere nazificato; la sua volontà era la democrazia plebiscitaria. Schmitt ritiene che la sua condotta era corretta e teorica in quanto voleva la cosa e non la persona. Cesare spunta per le continue crisi a Roma, così Hitler in Germania: la dittatura nasce dalla crisi, e la crisi nasce dal conflitto tra bene e male, ed il male nasce dalla libertà, in quanto più libertà, più male. Serve il Leviatano per ridurre la libertà, così il male, così i conflitti, così la dittatura.
Caino ha ucciso Abele, ma poteva essere Abele ad uccidere Caino; Adamo ed Eva non avevano nessun conflitto in quanto avevo un terzo, un entità di collegamenti: Dio. Una volta caduti dal paradiso gli uomini hanno dovuto aver a che fare tra di loro e sono dovuti scendere irrimediabilmente a conflitto fino alla morte su uno dei due. Caino ed Abele non avevano il linguaggio, non avevano uno strumento di comunicazione. Dentro la logica del monologo c’è il conflitto, il dialogo al contrario non è conflittuale. Si può uscire dalla logica del conflitto con la mediazione e quindi raggiungendo la coesistenza. Nella logca del dialogo non c’è il nemico, vi sono due parti non contrapposte ma legate fra di loro. Habermas vuole costituire la teoria della democrazia attraverso la logica del dialogo, ed invita a comprendere la logica del dialogo, il quale ha un’implicita valenza morale in quanto aspetto dell’agire umano, agire comunicativo, Tutte le volte in cui si parla e si pronunciano parole ci si può ricondurre a due tipologie di agire: monologo o dialogo, quindi agire strategico o agire comunicativo. L’agire strategico consiste nel saper far fare qualcosa a qualcuno. In tutte le cose che facciamo si ha un agire strategico. Quando Kelsen dice che il diritto è dover essere ci si basa sull’agire strategico così come la politica. L’agire comunicativo non ha nelle intenzioni il far fare qualcosa a qualcuno. Può avvenire che un discorso è tanto l’uno e tanto l’altro. Per la teoria del male politico è prevalente e rilevante l’agire strategico in quanto prioritario. Ma per Habermas, teorico del bene politico, è prioritario l’agire comunicativo, ma necessitano gli a priori comunicativi: sensibilità, morale, percezione, linguaggio (agire orientato all’intesa). L’agire orientato all’intesa per Habermas ha il primato su tutto, e la teoria del male politico si sbaglia nel mettere al centro l’agire strategico concentrandosi sul conflitto. Habermas parla del dialogo come situazione linguistica ideale. Dialogare è un atto moralmente implicito. I dialoganti non necessariamente devono essere uguali,ma si presuppone la libertà e la ragione. La parità ontologica presuppone la parità e la dignità dell’altro e per parlare bisogna riconoscere le regole comuni: linguaggio, domanda-risposta, etc. Ogni assemblea deve darsi delle regola in quanto il dialogo è un elemento inclusivo e antiesclusivo. Il dialogare presuppone questa esigenza di inclusione, l’oggetto di interesse è il logos. L’inganno è il peggiore dei difetti umani perché impedisce la relazione. La carità non ha un connotato economico, è lo sforzo di guardare il mondo con gli occhi dell’altro. Bisogna rispettare le regole comuni con “l’interdetto” (il detto tra). Cercare di capire le ragioni dell’altro è atto di carità. Caino risponde dicendo “non sono il custode di mio fratello” esprimendo il concetto di alterità tra gli individui in quanto Caino non riusciva ad utilizzare la morale; ontologicamente è una risposta ineccepibile, moralmente è sbagliata. Il dialogo ha in sé delle inudibili premesse pragmatiche: nessuno deve essere escluso dalla partecipazione, bisogna fornire una equa distribuzioni delle possibilità comunicative, ma è anche vero che non si può costringere alcuno a dialogare bisogna rispettare le libertà altrui. Bisogna presupporre che i soggetti sono razionali. Il diritto per Habermas ha una implicita struttura dialogica: la morale. Il processo è un dialogo tra le parti, e strutturalmente il diritto si apre al dialogo: il processo è giusto poiché si da la possibilità del dialogo. Questo sforzo dialogico che fa il diritto si basa soprattutto a tutti gli aspetti di libertà. Secondo Habermas non si può pensare alle libertà se non si pensa alla Costituzione. Il discorso kelseniano è accettato da Habermas riconoscendo la riserva fallibilistica. In Kelsen la riserva fallibilistica è uno schema vuoto, invece nel sistema di Habermas la riserva fallibilistica presuppone l’idea di una serie di diritti inviolabili che in Kelsen è assente. Per Habermas la Costituzione è piena, la libertà di pensiero e l’istruzione devono essere garantite. Se qualcuno non accetta il dialogo allora è impossibile dialogare. Schmitt dice che l’andata al potere di Hitler è legale, ma ciò che importa è la legalità. In Habermas la legalità è il rispetto delle regole, la legittimità è il rispetto della struttura dialogica; quindi le leggi possono essere illegittime. La salita al potere di Hitler è legale ma illegittima. Tutte le opinioni devono avere lo stesso valore e appoggiare quella più accettata. Il dissenso rafforza il consenso, e in democrazia il consenso di guadagna quando si superano tutti i tentativi di invalidazione. L’opposizione è comunque inclusione in quanto la sola esistenza è rispetto delle minoranze; il compito della democrazia è garantire il dissenso. Colui che è dissenziente è incluso nel processo decisionale. Nel processo o si vince o si perde ma non si è esclusi, si è comunque inclusi e si accetta di perdere la causa; questa accettazione si ha poiché c’è stata la possibilità del dialogo, della difesa, delle prove, etc. La logica del dialogo è quella dell’inclusione nel processo decisionale soprattutto quando si è dissenzienti. Sono valide solo le norme d’azioni che potrebbero essere approvate da un dialogo razionale; la norma fondamentale è così piena e non è una cornice vuota.


Habermas

Il principio discorso è la norma fondamentale in quanto rapporto dialogico tra più persone. Habermas utilizza i termini “premesse pragmatiche”: è impossibile discutere senza involontariamente accettare la razionalità altrui. Locke afferma che nella società naturale esistono i diritti ma non i giudici. Nel sistema processuale inglese non si possono tacere, in quanto reato, le sentenze sfavorevoli. Habermas dice che questi diritti fondamentali sono innati,ma rifiuta di riconoscersi giusnaturalista: dice che i diritti non derivano dalla natura, ma una opzione di fondo, quella di accettare la democrazia, in quanto se si accetti la dittatura cadono tutti i principi. La norma fondamentale per Habermas è il principio discorso. Il principio discorso è preceduto dal principio morale, in quanto moralmente si accetta l’altro prima di dialogare e si accettano tutte le relative conseguenze come gli effetti sfavorevoli. Il principio discorso si apre su una riserva fallibilistica, e si accettano anche le conseguenze impreviste. Per Kelsen diritto e morale sono assolutamente autonomi, ci può essere conformità, ma anche difformità. Secondo Habermas diritto e morale si coappartengono in quanto entrambi sono espressione del principio dialogico. Secondo Habermas la differenza tra diritto e morale non è di contenuti ma di struttura in quanto il diritto colma taluni deficit della morale: indeterminatezza cognitiva, incertezza motivazionale, ragionevole pretendibilità, imputabilità delle obbligazioni. Il diritto istituzionalizza la morale. Il diritto specifica quali sono i comportamenti da tenere per non ledere gli altri. Il diritto quantifica e pone dei limiti che la morale lascia indefiniti. La morale inosservata non ha sanzione, il diritto inosservato sì. Il diritto è esterno, la morale è interna. Il diritto riduce l’amore per il prossimo alla donazione fiscale. La democrazia è il raccordo tra morale e diritto, e questa istituzionalizzazione è coerente con il principio discorso. Il principio democratico ha come elemento centrale e fondamentale il principio discorso. Per Habermas il diritto è un distillato istituzionalizzato della morale fra i quali esiste la democrazia. Secondo Habermas il ruolo performativo spiega la prassi costituente. L’istituzionalizzazione del dialogo è la Costituzione. Sia Habermas che Rawls sono teorici e partono entrambi da un’idea la quale è prodotto storico della cultura occidentale. Entrambi dicono che il tentativo dello stato costituzionale di diritto è quello di dare un assetto dialogico per l’inclusione dell’altro con la compassione. Accettando l’inclusione degli altri si è inclusi dagli altri: la logica è quella dell’agire comunicativo volto all’intesa. Habermas dice che l’Europa può apparire tanto come sistema chiuso ed egoista, oppure come aperto ed altruista a condizione che si accettino i requisiti fondamentali di dialogo, principio discorso. L’inclusione dell’altro è offerta del dialogo, ed il rifiuto del dialogo è esclusione. Il diritto può essere o uno strumento oppressivo o uno di risoluzione. La teoria di Habermas ci dice che la legittimità è quella legge conforme ad una certa regola, ma la deve essere conforme al fondamento, al principio dialogico, al principio discorso; per molti aspetti quindi la legalità viene prima della legittimità. Per Kelsen l’una non implica l’altra; per Habermas e Smith legalità e legittimità sono interconnesse. La premessa secondo Habermas include i diritti fondamentali delle persona. In Habermas la libertà iniziale deve restare in proseguo per mantenere il consenso, e per questi è importantissima la libertà del discorso. La teoria di Habermas è l’elemento discorsivo e la violenza in lui è impensabile in quanto è impossibile l’arbitrio. C’è un discorso razionale quando c’è assenza di arbitrio. Il discorso deve essere privo di arbitrio per essere razionale. Si è costretti ad accettare l’esito del discorso con assenza di arbitrio. Un ‘entità ha la possibilità di definire il diritto quando è legittimato dal popolo, quando si senta questa esigenza, quando si raggiunge uno stadio di evoluzione che permettano la Costituzione. Habermas dice che il diritto è solidarietà tra estranei ed utilizza questi termini contrapposti: solo la solidarietà però è capace di mantenere un rapporto stabile (amicizia o indifferenza). Stipulando un matrimonio si ritiene che il vincolo sia indissolubile, invece il concubinato o l’amore meretricio no. Lo scopo del diritto è quello di creare rapporti solidali mantenendo l’estraneità. Il contratto è solidarietà tra estranei con un riconoscimento reciproco di rilevanza giuridica: la soggettività giuridica è il diritto di avere diritti; si tratta di un rapporto solidale non violento. Il matrimonio ideale è morale, invece il matrimonio a tempo solamente giuridico (ed amorale). Secondo Kant il matrimonio è un contratto fra persone con lo scopo di utilizzare gli organi sessuali dell’altro. Il diritto presuppone che siamo egoisti. La teoria di Habermas ha trovato molte critiche fra cui quella di Apel: “Per Habermas contro Habermas”. Secondo Apel Habermas fa un discorso troppo astratto e non disceso nel tempo, in quanto storicamente cieca ed indeterminata. Secondo Apel bisogna calarsi nei periodi storici per comprendere la situazione giuridica o politica o morale. Si è responsabili non solo della condizione stratta del dialogo, ma anche delle condizioni materiali. Il principio dialogico si deve tradurre nel principio di responsabilità il quale a sua volta si divide in principio di trasformazione (idea dello stato sociale. Art. 3 §2 Cost.), ed il principio di conservazione. Nei paesi democratici epidemie non ce ne sono in quanto il malato viene subito curato; negli stati totalitari le epidemie dilagano (v. aviaria in Cina). Tutti dobbiamo collaborare per l’esercio della morale discorsiva all’intero pianeta. Rawl continua il discorso di Apel con un discorso mentale: mettiamo che siamo sul nascere non sappiamo che cosa ci riserva la lotteria naturale (ricchi, poveri, sani, malati, donna, uomo) conoscendo comunque tutte le situazioni del mondo; quale tipo di nascita si sceglie?

Rawls

In Habermas abbiamo la teorizzazione dello stato di diritto che non è un prodotto dell’evoluzione storica ma una risposta a determinate esigenze: libertà, diritti inviolabili e personalissimi, etc. Lo stato di diritto traduce in qualche modo la situazione linguistica ideale. Habermas elabora una teoria vuota: ci sono situazioni storiche in cui il dialogo è impossibile. Rawls e Habermas hanno avuto dialoghi e teorie in comune e la loro diversità sta sul tema della giustizia. Rawls competa la teoria di Habermas domandando:”E’ possibile pensare alla libertà senza pensare all’uguaglianza?”. Il 65% della popolazione mondiale non ha mai utilizzato il telefono; 318 persone nel mondo posseggono la metà della ricchezza mondiale. Rawls ha costruito tutta la sua teoria sulla giustizia. La teoria della giustizia nasce sul rapporto di liobertà ed ..uguaglianza. La giustizia è l’attuazione del bene. Cosa è il bene? Se il bene è a priori si è in contrasto con la democrazia. Rawls dice che il giusto è prioritario rispetto al bene; paradossalmente afferma che la giustizia, l’accordo, deve venire prima. La libertà è differenza, l’uguaglianza è negazione di libertà. Rawls elabora una teoria filosofica astratta della giustizia: per la filosofia classica la giustizia viene dopo il bene, così fino al giusnaturalismo; secondo Rawls la giustizia viene prima del bene. Ogni religione ha una diversa visione di bene, pertanto Rawls vuole abbandonare la teoria filosofica per dedicarsi alla teoria politica che tiene conto della riserva fallibilistica. Il bene è un coerente ed autonomo progetto di vita. Più si vuole essere massimizza tori, più bisogna tenere in conto il progetto altrui; allora il giusto è trovare equilibrio tra tutti i progetti. Rawls dice che la sua è una teoria kantiana: nessuno può dirmi come posso essere felice. Il problema non è eliminare la sofferenza ma trovare il modo per guidare la società. Il velo d’ignoranza è la visione moderna del contratto sociale delineando una ipotesi, una posizione originaria: Hobbes diceva guerra di tutti contro tutti; Rawls diceva invece ignoranza del luogo di nascita consapevoli però della natura del mondo. Rawls non fa nessuna riflessione sulla natura umana; dice che ognuno pensa razionalmente quando vuole il massimo per se: razionalità massima = self interest. La posizione originaria è quella per Rawls in cui si è consapevolmente ignoranti: razza, ricchezza, salute, sesso, intelligenza, doti, posizione sociale, non si conosce la lotteria naturale ma si conosce cosa significa ognuno di questi elementi in una società opposta. La domanda è: “Che società si vorrebbe se si potesse scegliere?” La ragione porta ad essere egoisti disinteressati, si vuole il massimo. Il velo d’ignoranza cerca di realizzare il bene in senso soggettivo; il bene oggettivo è vedere in realtà come il bene soggettivo non può prescindere dagli altri. Rawls va oltre il Leviatano; egli dice che bisogna costruire una società giusta, ed è tale quando si mette nella posizione e nel’ottica dei meno avvantaggiati, attenuando le diseguaglianze. La società deve tendere al “maximin” (Maximum minimorum), al massimo del minimo, al massimo della cura per la classe minima ridistribuendo la ricchezza. Rawls precisa che è nell’interesse di tutti la ridistribuzione della ricchezza. Il velo d’ignoranza è un’ipotesi logica con lo scopo di guardare la società con gli occhi dei meno avvantaggiati. Rawls dice che tra tutte le diversità ci sarà sempre un consenso per sovrapposizione: il compito della Costituzione è trovare gli elementi comuni del popolo. Ciascuno ha una diversa visione di tutto ma non è detto che queste visioni siano totalmente incompatibili, pertanto bisogna trovare una teoria politica del bene. Il soggetto razionale si preoccupa delle condizioni e dei problemi degli altri. Questa posizione è razionale in quanto non si possono ottenere certezze sulla vita. Rawls guarda all’esperienza degli Stati Uniti d’America. Il problema non è di curare il disabile, ma è quello di dare gli stessi diritti ai disabili inserendoli nella società sullo stesso piano degli abili non segregando in comunità escluse, consentendo una pienezza esistenziale. I cristiani curano i cristiani ed i pagani, i pagani non curano neanche se stessi. Però per parificare le condizioni sociali bisogna peggiorare la condizione di chi sta meglio. Per Rawls è prioritario il primo principio di giustizia (bisogna privilegiare sempre la libertà in quanto fondamento). Una società è giusta quando riesce a mettere insieme il principio di differenza ed il principio di riparazione. Il Marxismo (principio di sola riparazione) è sbagliato, il capitalismo (principio di sola differenza) è sbagliato; libertà ed uguaglianza devono essere collegati. Una società è giusta se riesce a garantire la ridistribuzione ideale. Nel velo d’ignoranza ci si trova di fronte a conoscenze limitate. Il primo principio di giustizia si può equiparare alla libertà positiva, invece il secondo principio di giustizia è la libertà negativa. La prima è la libertà personale, la seconda è una libertà conforme con le esigenze di tutti. La libertà negativa è data dallo Stato con inazione e non intervento. La libertà positiva è quella in cui lo Stato interviene concretamente con la cooperazione all’assistenza sociale, sanitaria, diritto allo studio. Lo Stato deve intervenire per garantire i diritti fondamentali. Rawls ci dice bisogna annullare ed appianare le differenze “togliendo ai ricchi per dare ai poveri”. Secondo Rawls ci sono due forme di potere: stato democratico proprietario e stato capitalistico del benessere (Welfare state). Rawls pensa gli Stati Uniti come Welfare State i quali valutano la ricchezza sulla base del PIL, e l’Europa come democrazia proprietaria la quale valuta la propria ricchezza in base al numero dei poveri. Lo stato capitalistico del benessere tende con leggi all’aumento del PIL, la democrazia proprietaria tende con leggi a diminuire il numero dei poveri appianando le condizioni economiche. L’altro problema posto da Rawls è di estendere questa analisi alla comunità internazionale: secondo Rawls al diritto internazionale bisogna applicare il velo d’ignoranza distinguendo varie forme di Stato: stato liberale, stato decente, stato fuorilegge, società svantaggiate, assolutismo benevolo. Rawls dice che scopo della guerra deve essere una pace più stabile, combattendo contro lo stato fuorilegge distinguendo gerarchi da popolazione, dicendo che la bomba atomica è giustificata quando sono indispensabili i fini.


Riserva fallibilistica - Nichilismo

L’elemento dubbio è quello dei cosiddetti stati fuorilegge, gli stati canaglia; secondo Rawls verso questi stai è legittima la legge per ristabilire i diritti umani giustificando la guerra giusta. I mezzi devono essere commisurati la causa altrimenti limitare la distruzione. La difficoltà della teoria di Rawls serve a mettere in luce uno dei difetti della sua teoria: è accettabile all’interno di un contesto culturale omogeneo, invece è difficilmente applicabile in una società frammentaria ed omogenea dove magari non si accettano i diritti umani: non c’è un overlapping consensus. Se tutti accettano la costituzione allora si ha la cittadinanza. Rawls vuole risolvere il problema per chi ha una diversa visione: dice che la teoria della giustizia rappresenta concezioni ragionevoli relativi alla struttura di base, rappresenta una struttura di base di un sistema democratico e costituzionale. Bisogna assicurare a tutti i cittadini beni fondamentali, giungendo alle idee comuni di tolleranza, reciprocità, pluralismo, diversità. Le idee fondamentali latenti ci portano psicologicamente a credere in modo scontato lo stato delle cose. Noi intendiamo la bontà come razionalità condividendo i beni primari, con una società bene ordinata in cui ognuno può perseguire la propria immagine di bene, il proprio modello di vita. La clausola condizionale trova il problema delle argomentazioni ragionevoli. Si può dialogare con chi vuole dialogare. Una società è giusta se costruisce la società che rispetta sé stessa. Ognuno ha diritto a quella quota di beni primari per poter produrre il proprio progetto. Le virtù politiche presuppongono tolleranza e ragionevolezza come valori latenti della società. Rawls immagina un cittadino attivo, elettore, consigliere. Impegnato socialmente. Più lo stato è forte più la società è stabile secondo Hobbes. Rawls ci dice il contrario: se una società mette in discussione il governo o lo stato ha più rispetto e considerazione di sé. Per Habermas il pensare tutti pensare assieme è il dialogo, per Rawls è la ragione pubblica: non si può pensare tutti se non si pensa a tutti. Bisogna mettere assieme la teoria di Habermas e la teoria di Rawls che sono consonanti e conformi. Tutte queste misure non sono solo politiche ma anche giuste. Un soggetto che perde rispetto di sé non è libero. Bisogna garantire tutti mezzi per la vita politica. Se ci sono forti squilibri economici, questi squilibri si ripercuotono sulla strategia politica e sul risultato. Il giusto è prioritario rispetto al bene, il bene è un fine e la giustizia è un fine. Per ottenere il bene bisogna accettare un mezzo: la giustizia. Il giudice è prioritario rispetto al bene! Vi sono due argomentazioni che possono ricondursi al cognitivismo etico. L’etica del dialogo di Habermas e la teoria fallibilistica di Rawls sono entrambe “process based” (Riserva fallibilistica), tuttavia secondo Habermas saranno rispettate le condizioni di libertà di tutti i soggetti. Rawls ci dice quali sono le condizioni che ci consentono di pervenire ad una società giusta. Il voto è un classico process based, che sia garantita la libertà dei votanti, e stesso discorso va fatto al processo, in quanto bisogna avere rispetto delle regole. La democrazia dovrebbe funzionare come un processo fallibili stico di apprendimento in quanto si abbia la possibilità di parlare, il dialogo, la giustizia. Coloro che hanno una verità condizionata non sono in grado di dialogare. Per la teoria del male politico necessita per avere la pace firmare una cambiale in bianco al sovrano dando la possibilità di dare la morte; si affida il potere a qualcuno. La teoria del bene politico la cambiale in bianco deve essere firmata nei confronti di chiunque, qualunque uomo, non importa. Ciò che importa è la totale differenza dei due modelli. L’affermazione nichilistica è indifferentismo etico costruito che niente ha senso, e solo il sistema da un senso, ma l’esistenza è assolutamente irrilevante con la ricerca del senso. Il senso delle cose va cercato assieme. Il nichilismo impedisce la libertà in quanto se le cose non hanno un senso non c’è scelta. Il velo d’ignoranza ci propone o di lasciare invariata la lotteria naturale, o porsi nella prospettiva dei meno avvantaggiati.
Il nichilismo si divide in negativismo ed antigiuridismo; le cose hanno un senso se hanno un Principio e non un principio. Scoprire il senso delle cose significa interrogarsi sul principio del tutto. Per il male politico il tutto è spiegato dal marchio di caino, la capacità di dare la morte; il bene politico prevede invece che la società è costituita per la coesistenza, la solidarietà, etc. La ragione fa comprendere il senso della nostra vita avendo un atto di fiducia. Sia antropologia positiva che negativa trovano un senso alle cose. Si sacrifica per lo scopo di salvare il tutto. Nell’antropologia positiva vi è il primato dell’agire comunicativo sull’agire strategico, primato dell’individuo sullo stato. Si pensi a Maria Zambrano, l’unico modo per cancellare gli idoli è non vere più idoli. L’antropologia negativa è diversa dal nichilismo anche se ogni tanto lo incontra in quanto il significato della vita è il male e la sofferenza, il delitto e la violenza; il male è predicato dell’esistenza, prerogativa fondamentale della natura umana. Il male non può essere eliminato ma può essere ridotto. La dimensione temporale radica profondamente gli elementi della nascita e della morte: l’uomo non sa mai se sta andando verso la presenza o l’assenza. La morte è parte della vita eppure è la sua negazione. La vita è una continua corsa verso la morte. La morte è liberazione in quanto la vita non è libertà. Sarte è nichilista e dice che la vita è una tela vischiosa in cui ci si è bloccati ed invischiati senza poterne uscire. La morte è l’unica liberazione, ed è ciò che ci fa rendere conto che non c’è un senso. Questa teoria è emersa nel ‘900 e non è un caso in quanto ci dice che la vita non ha senso. Oggi si ha una possibilità maggiore: la bomba tomica, la possibilità di garantire il nulla, distruggere tutto!

Nichilismo - Heidegger

Il nichilismo incide profondamente sul diritto, sulla riserva fallibilistica e sulla libertà. Abbiamo dato per scontato che la libertà sia un valore: secondo Montesquie la libertà è agire secondo la legge ma è una contraddizione in quando le limitazioni non sono libertà; Rawls ci dice che libertà è bene ma non soggettivo e volontaristico, in quanto bisogna porsi in comune con tutte le visioni del bene, passando da pluralismo al pluralismo ragionevole. La tolleranza presuppone il pluralismo, ma il nichilismo sorregge l’indifferentismo etico. Se le cose hanno un principio hanno un senso e quindi un ordine. Se le cose hanno un senso c’è un ordine; la libertà consiste nel conformare la vita all’ordine. Si è liberi quando si ha un progetto di vita. Se si è nichilisti tutto allora è casuale. La nausea è dovuta al principio di casualità ed indifferenza. Il nichilista non è libero in quanto non vi è nessun interesse libero da soddisfare. La coesistenza è trovare un ordine (che esiste) che non è l’una risposta: amore, carità, solidarietà, etc. Il diritto è una relazione fredda, a differenza dell’amore che è un rapporto caldo: il diritto è un rapporto fortissimo e instaurabile con chiunque, duraturo, etc. l’amore è un rapporto che più è caldo meno è facile da costituire. Per il negativismo giuridico nulla ha valore in sé (Kelsen) la norma è vuota senza contenuti. Secondo l’antigiuridismo la regola in quanto regola nega la libertà. Per la teoria nichilistica l’esistenza non ha un senso tuttavia vi è incontro tra nichilismo e negativismo. Il massacro è nichilistico terroristico, meglio il nulla che l’esistenza, meglio la morte che la vita. Nel nichilismo abbiamo una dimensione teorica ed una dimensione empirica strettamente materiale. Il non essere prevale sull’essere. La bomba atomica da la possibilità al mondo di distruggersi; la manipolazione genetica comporta la modifica della natura; l’intelligenza artificiale è la sostituzione dell’uomo alla natura. Lo ius vitae ac necis è un potere non solo dello stato ma anche della scienza; questo ius cessa di essere aspetto della teoria del male giuridico ma diventa potere diffuso nella scienza. Nel’800 la libertà è conoscenza, l’ordine, e la libertà è un sistema di rapporti; nel 900 è l’esistenza dei rapporti che comporta la libertà. Per Hegel un sistema logico è possibile, ma non è possibile un sistema dell’esistenza, della mia esistenza. Il pensiero o è sistematico o non è pensiero. Si può dire di essere liberi in quanto si conosce o perché si vuole. Il volere è aperto a tutto: per Hegel e Kierkegaard esiste un ordine, il problema è come rapportarsi all’ordine. Kierkegaard costruisce tutta la sua teoria sul rapporto con Dio, e in quanto il peccato è dietro l’angolo, l’esistenza deve essere un faccia a faccia tra bene e male (Aut Aut): l’esistenza umana contiene un idea ma non è l’esistenza di un’idea. Per Hegel tutto è concettualizzazione, per Kierkegaard vi è asistematicità. Per Kierkegaard non c’è nulla di diacronico, dialettico o logico: aut aut. Bisogna prendere una decisione che comporta il cambiamento della vota. Kierkegaard guarda la vita con gli occhi del moralista. In Hegel il nulla è “non”, un elemento dopo la tesi per preparare la sintesi: antitesi. Il “non” non nega l’essere ma lo sospende. Il vero non è quello che interrompe, il ni-ente, la cancellazione dell’ente, il nulla, il non che nientifica l’ente. Heidegger dice che bisogna pensare il non che interrompe, non il non che sospende. Esiste il nulla? Fare questa domanda comporta il rendere il nulla un essere ridotto all’oggetto del pensiero. Per capire l’ente bisogna nientificarlo. Abbiamo fatto della vita un immagine, invece la vita è un tutto, ma per capire il tutto bisogna capire il niente. La morte si capisce come assenza di vita; la morte ci da la dimensione dell’impossibilità dell’esistenza. L’angoscia è una paura senza motivo alla quale non si può dare rimedio. L’angoscia è diversa dalla paura in quanto la paura è definita e definibile, inquadrabile. L’angoscia è il nulla; la morte non è la fine della vita, ma un’altra cosa. Ciò che è veramente mia è la morte. Finché viviamo non siamo liberi. L’amore è perdita della libertà in quanto si è totalmente soggiogato all’altro. L’unica dimensione veramente nostra è la morte: la morte è la fine dell’esserci (dell’essere insieme). Siamo luogotenenti del nulla, non viviamo veramente. Una interpretazione dice che il suicida è veramente libero, ma un’altra dice che il suicida vuole rinunciare alla vita condizionato. Solo il condannato a morte è libero in quanto la sua morte non è condizionata. Il nichilismo ci invita a riflettere a fondo sul problema della libertà. Il diritto non può non risentire di questo condizionamento.